Alcuni dei miei ricordi più belli risalgono ai tempi dell’Università, quando è cominciata in me la dicotomia tra la scienza che studiavo, quella ufficiale, che mi attraeva perché era in grado di spiegare i misteri della vita a cui mi accostavo da sempre con la bramosia di un entomologo, e la scienza che scoprivo esistere oltre i testi faticosamente portati agli esami.
L’una mi permetteva di analizzare, classificare, comprendere il perché dei fenomeni e incasellarli nell’ordine che andavo costruendo: cassetti da cui avrei estratto, al momento giusto, la spiegazione rassicurante e necessaria all’essere imperfetto quale io sono.
L’altra mi portava oltre il paradigma, oltre il visibile, oltre la biochimica, oltre la materia e disfaceva l’ordine a fatica costruito per crearne un altro ancora più perfetto: cassetti nascosti dietro ai primi, accesso a comprensioni nuove, profondità inebrianti, meraviglie.
Fu così che, complice la mia malattia di allora, approdai all’Omeopatia e mi sentii spinta inesorabilmente verso un mondo che già mi apparteneva. Infatti il trasporto fu facile e veloce, gli incastri della vita non capitano a caso, e fu durante una serata d’informazione che conobbi la F.O.I. e i fratelli Nicola ed Emilio Del Giudice. Avevo 21 anni e zero finanze, non potevo permettermi di frequentare il loro corso a Napoli, ma alcuni degli amici che frequentavo allora (uno di loro diventò poi mio marito), studenti in medicina, partirono per l’avventura, complice un amico che era stato invitato colà a tenere alcune lezioni. Credo che il corso venisse alla luce proprio in quegli anni (1981, mi pare) e questi studenti torinesi erano tra i primi ad essere ammessi. Conserviamo ancora le dispense di quel corso come un bene prezioso, furono i primi materiali su cui studiammo in molti e ci aprirono le porte di un sapere nuovo.
Noi eravamo tutti affascinati dalle personalità dei fratelli Del Giudice; li guardavamo come inebetiti, incapaci di scambiare parole con loro eppure ebbri di una felicità che viene dalla consapevolezza di avere accesso ad un privilegio. Vennero con noi in birreria (!) e noi, finalmente sciolti, non smettevamo di fare domande e di guardarli come si guarda agli innamorati. Che serata indimenticabile! A ripensarci adesso, sento ancora la gioia sprizzarmi dalla pelle e avverto ancora quella sensazione di benessere, la certezza di essere sulla giusta strada.
Questo senso di accordo con me stessa mi ha pervaso altre volte nella vita, che pure ha avuto momenti bui e di dubbio fortissimo.
Emilio Del Giudice è stato tra coloro che mi hanno sempre accompagnato e rassicurato. Ho seguito i suoi interventi sul web e quelli dal vivo, quando ho potuto. Ho comprato il suo libro, sono stata una sua fan sfegatata. Nessuno sapeva spiegare cose così complicate in maniera così semplice e divertente. Il suo viso sorridente era una certezza e un invito a gioire della vita e delle sue meraviglie svelate. Di sicuro lui non si ricordava di me, ma io di lui e questo per me era un punto fermo, fondante.
Chi ci proteggerà ora dalla protervia dei potenti?
Ci mancherà. Caro, caro Professore, ci mancherà immensamente.
Marina Nuovo – Presidente SIOV